A completamento degli ausili preliminari indispensabili per la maggiore comprensione dell’Autore, il Paolino pubblica il seguente trattato, opera di Sanadon, che, sinteticamente , mette a disposizione dello studente la metrica utilizzata da Orazio, in tutte le sue opere, per poter apprezzare la musicalità dei versi del grande Autore latino.
DEI VERSI DI ORAZIO
DEL P: SANADON
Non è mio intendimento d’imprender qui un compiuto trattato intorno alla versificazione di Orazio. Per fare ciò bisognerebbe esaminare in che consista la bellezza dei versi, di cui si è egli servito, la loro eleganza, l’armonia, ed il Carattere, che ad essi conviene. Bisognerebbe notar l’uso, che il nostro poeta ha fatto di queste differenti specie di versi, tanto per rapporto al soggetto, quanto per rapporto alle composizioni, nelle quali gli ha fatto entrare. Finalmente bisognerebbe osservare in che cosa la versificazione di Orazio sia differente da quella degli altri poeti; ed in che cosa Orazio è differente da se stesso in una sì gran varietà di versi, di cui si è servito. Ma come questa minuta ricerca ci porterebbe troppo a lungo, ed ho toccato la maggior parte di questi articoli in un’altra mia opera; mi restringo qui a fare la numerazione dei versi, che si trovano nelle poesie d’Orazio, e delle composizioni, che ha formate coll’unione di tali versi. Si vedranno qui in un picciolo numero di composizioni alcuni versi distribuiti altrimenti, che nelle edizioni ordinarie. Ed io ne ho reso ragione nel mio trattato della versificazione Latina, dove si potrà vedere, che non ho fatti tali mangiamenti senza sode ragioni.
I
DELLE DIFFERENTI SPECIE DI VERSI,
CHE SI RITROVANO NELLE POESIE DI ORAZIO
Nessun vero di Orazio contiene meno di due piedi, o sien misure, né più di sette; e possono contarsene ventuno specie differenti. Cominceremo da quei versi, che contengono un più piccolo numero di piedi, e a poco a poco ci avanzeremo fino a quelli, che ne contengono il più gran numero.
VERSI DI DUE MISURE GIUSTE
I- Il più piccolo di tutt’i versi di Orazio si è quello, che chiamasi Pindarico Adonico I due suoi piedi sono fermi e il primo è sempre un Dattilo, siccome l’ultimo non può essere che uno Spondeo.
―υυ ――
Terruit Urbem
VERSI DI DUE MISURE E MEZZO
II-Il verso di due misure, e mezzo è quello, che oltre le due misure contiene una sola sillaba nel fine. Il picciolo Archilochio è il solo di questa specie, di cui Orazio ha fatto uso. Egli si compone di due dattili, ed una sillaba di più.
―υυ ―υυ ―
Pulvis et umbra sumus
VERSI DI TRE MISURE PRECISE
Orazio ha usato quattro specie di versi di tre piedi; cioè il Gliconico , il Ferecraziano, il piccolo Gionio, e’l Coraico.
III-Il verso Gliconico costa d’uno spondeo e due dattili
―― ―υυ ―υυ
Dulce est desipere in loco
IV-Un dattilo tra due spondei forma un verso Ferecraziano
―― ―υυ ――
Multo non sine risu
V-Il piccolo Gionico non è differente dal Ferecraziano, se non perché prende l’anapesto invece dello spondeo nella prima misura.
υυ― ―υυ ――
Patruae verbera linguae
VI-Il verso Coraico contiene un dattilo, e due Corei
―υυ ―υ ―υ
Sangune viperino.
VERSI DI TRE MISURE E MEZZO
Due sorti di versi, amendue Coraici, sono i soli versi di tre piedi, e mezzo, che trovansi adoperati, ed aver avuto luogo nelle composizioni, che Orazio ci ha lasciate.
VII-Vi sono versi Coraici esatti, che sono composti da tre Corei , e di una sillaba di più:
―υ ―υ ―υ ―
Truditur dies dic
VIII-I Coraici liberi non ritengono il Coreo, se non alla prima misura, la seconda è sempre spondeo, e la terza un dattiloseguito da una cesura finale.
―υ ―― ―υυ ―
Cur timer flavum Teberim
VERSI DI QUATTRO MISURE PRECISE
Questi versi sono Giambici, Fallisci, o Archilochei
IX-Il verso Giambico prende il suo nome dal giambo, che può occuparne tutti i luoghi, e sopra tutti l’ultimo, in cui de’ sempre trovarsi. Si è nella libertà di mettere uno spondeo, o un dattilo nel primo luogo, un trocheo nel secondo, ed uno spondeo nel terzo.
υ― υ― υ―
―― υυυ
―υυ
Sacer nepotibus cruor
Fortuna non mutat genus
Videre properantes domum
Ast ego vivissimo refero
X-Il verso Falisco ha sempre un dattilo nel terzo piede, ed uno spondeo nel quarto. I due primi possono essere indifferentemente dattili, o spondei. Orazio si ha presa anche una volta la libertà di mettere uno spondeo nel terzo luogo.
―υυ ―― ―υυ ――
―― ―υυ ――
Mobilibus pomaria vivis.
Cras ingens iterabimus aequor.
O fortes, pejoraque passi
Carmine perpetuo celebrare
Mensorem cohibent Architae
XI-Orazio ha parimente usato dei versi Archilochei di quattro misure, o sien piedi, i quali posson chiamarsi dattilo-Coraici, perché, i due primi piedi sono sempre dattili, ed i due ultimi sempre corei:
―υυ ―υυ ―υ ―υ
Vertere funeribus triumphos
VERSI DI QUATTRO MISURE E MEZZO
XII-Non se ne trova in Orazio, che di una sorta, cioè il verso giambico. La misura che gli dà il nome si è riserbato il secondo, ed il quarto luogo. Lo spondeo è solo in possesso del terzo; ed il primo può essere occupato ora da uno spondeo, ed ora da ungiambo.
―― υ― ―― υ――
υ―
Contemus Augusti trophaea
Olentis uxorem mariti.
VERSI DI CINQUE MISURE PRECISE
Delle molte specie di versi fatti con questo numero di misure, o sien piedi, io non ne trovo, che tre, onde Orazio abbia fatto uso, che sono il Saffico, il piccolo Asclepiadeo, e l’Alcaico.
XIII-Il verso Saffico riceve un Coreo nella prima, e nelle due ultime misure, o sien luoghi, uno spondeo nel secondo, ed undattilo nel terzo.
―υ ―― ―υυ ―υ ―υ
Ludit herboso pecus omne campo
XIV-Quattro specie di piedi concorrono a formare il piccolo Asclepiadeo. Lo spondeo è nel primo, e terzo luogo, il dattilo nel secondo, l’anapesto nel quarto, e il giambo nell’ultimo.
―― ―υυ ―― υυ― υ―
Crescentem sequitur cura pecuniam
XV-Lo spondeo, e il giambo riempiono quasi tutto il verso alcaico. Il primo e il terzo luogo sono per lo spondeo, il secondo, e il quinto per lo giambo; il quaro non ammette altro, che l’anapesto, ed il giambo s’impossessa qualche volta del primo luogo.
―― υ― ―― υυ― υ―
υ―
Dulce, et decorum est pro patria mori
Tumultuosum solicitat mare.
VERSI DI CINQUE MISURE E MEZZO
XVI-Orazio non ci ha lasciato altro, che versi giambici con questo numero di misure. Il giambo è un piede ricevuto da per tutto. Vi si possono mischiare spondei nel primo, e terzo luogo, e trochei nel secondo.
υ― υ― υ― υ― υ― ―
―― υυυ ――
Mea renidet in domo lacunar
Jam te premet nox, fabulaeque Manes
Regumque pueris, nec satelles Orci
VERSI DI SEI MISURE
Il nostro poeta si è esercitatosopra quattro sortidi versi di sei misure, che sono il pitio, il giambico, il grande asclepiadeo, e’lgionio. Io ho detto altrove, perché chiamo pitio un verso il quale si ha il costume di chiamaresi esametro.
XVII-Il verso pizio è comunemente composto di dattili, e spondei, i quali occupano indifferentemente le quattro prime misure. Il dattilo è in possesso del quinto luogo, il quale non locede, se non rarissimamente allo spondeo; ma lo spondeo non cede giammai il sesto. Orazio ha messo qualche volta un’anapesto nel primo luogo per le ragioni da me altrove addotte.
―υυ ―― ―υυ ―― ―υυ ――
―― ―υυ ―― ―υυ ――
υυ―
Dant alios Furiae torvo spectacula Marti
Qui fit Maecenas, ut nemo quam sibi sortem
Vehemens, et liquidus, puroque simillimus amni
XVIII-Il verso Giambico può avere il giambo in tutte le sue misure. Orazio fa uso sovente nella seconda misura di un trocheo, nella prima, nella terza, e nella quinta di uno spondeo, o di un’anapesto; ed usa ancora qualche volta il dattilo nella prima, e nella terza; ma l’ultima richiede sempre il giambo.
υ― υ― υ― υ― υ― υ―
―― υυυ ―― ――
υυ― υυ― υυ―
―υυ ―υυ
Eques sonante verberabit ungula
Deripere lunam vocibus possum meis
Optat quietem Pelopis infidi pater
XIX-Vi sono dei versi grandi asclepiadi di sei misure, che ricevono uno spondeo alla prima, ed alla terza, un dattilo alla seconda, alla quinta , ed alla sesta, ed un’anapesto alla quarta..
―― ―υυ ―― υυ― ―υυ ―υυ
Nullam, Vare, sacra vite prius severis arborem.
XX-Il gran verso Gionio di sei misure è composto di due anapesti, di due dattili, e di due spondei, che si dispongono nella guisa , che si osserva nella tavola seguente:
υυ― ―υυ ―― υυ― ―υυ ――
Tibi qualem Cythereae puer ales, tibi telas.
VERSI DI SETTE MISURE
XXI-La poesia non riconosce, che il grande archilocheo di questa lunghezza. Questo verso riceve indifferentemente dattili, espondei nelle tre prime misure. La quarta sempre un dattilo e gli tre ultimi corei.
―υυ ―― ―υυ ―υυ ―υ ―υ ―υ
―― ―υυ ――
Solvitur acris hyems grata vice veris, et Favoni
II
DELLE DIFFERENTI SPECIE
DI COMPOSIZIONI
CHE SI RITROVANO NELLE POESIE
DI ORAZIO
La fecondità d’Orazio non apparisce meno della varietà delle sue composizioni, che in quella de’suoi versi. Io ne trovo di venti forme differenti, e comincio dalle composizioni semplici per indi venire alle composte.
COMPOSIZIONI SEMPLICI
Io chiamo composizioni semplici quelle che sono formate da’versi della medesima specie per lo numero, e per la quantità dei piedi, o misura. Orazio non ha usato in questa composizione, se non quattro specie di versi, cioè a dire i due asclepiadi, il giambico, ed il pitio.
I-Il piccolo asclepide di cinque misure ci fornisce in Orazio di un picciolissimo numero di Ode, le quali sono:
Donarem pateras, grataque commodus.
Exegi monumentum aere perennius.
Maecenas atavis editeregibus.
II-Tre altre Ode parimente ci rimangono, delle quali i versi tutti sono grandi asclepiadi di sei misure, cioè a dire:
Nullam, Vare, sacra vite prius severis arborem.
O formosus adhunc, et Veneris muneribus potens
Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi.
III-Noi non abbiamo di Orazio più, che una composizione tutta di grandi giambici di sei misure, ed è:
Jam, jam efficaci do manus scientiae.
IV-Le satire, ed epistole di Orazio non contengono altri versi, che Pitii.
COMPOSIZIONI DOPPIE, O COMPOSTE
Le composizioni, che contengono più versi di differenti specie sono quelle, che io chiamo composte. Elleno fanno senza comparazione il più gran numero delle Ode di Orazio, e si riducono a sedici forme differenti, di due, di tre, e di quattro versi.
COMPOSIZIONI DOPPIE DI DUE VERSI
La combinazione di due versi ripetuti alternativamente col medesimo ordine ha fornito ad Orazio otto specie di composizioni.
V-Tantosto è un gliconico di tre misure, o sien piedi, seguito da un Asclepiade di cinque dal cominciamento della composizione sino alla fine.
―― ―υυ ―υυ
―― ―υυ ―― υυ― υ―
Audax omnia perpeti
Gens humana ruit per vetitum nefas.
Tali sono le Odi.
Et thure, e fidibus juvat.
Festo qui potius die.
Intactis opulentior.
Quantum distet ab Inacho.
Quem tu, Melpomene semel.
Quo me, Bacche, rapis tui.
Sic te Diva potens Cypri.
VI-Tantosto un giambico di cinque piedi, e mezzo segue un coraico di tre piedi, e mezzo, il che forma un’oda coriambica . La sola composizione, che di questo genere abbiamo si è
―υ ―υ ―υ ―
υ― υ― υ― υ― υ― ―
―― υυυ ――
Non ebur, neque aureum
Mea renidet in domo lacunar
Qualche volta il verso pitio porta presso di sé un verso di una specie differente, il che fornisce quattro specie di composizioni.
VII-La prima unione del verso pitio si fa col picciolo archilocheo di due misure, e mezzo. Orazio non se n’è servito, che in questa sola Ode.
―υυ ―― ―υυ ―― ―υυ ――
―― ―υυ ―― ―υυ
―υυ ―υυ ―
Diffugere nives, redeunt jam gramina campis
Arboribusque comae.
VIII-Il Falisco di quattro misure preceduto dal verso pitio, fornisce ancora una combinazione propria della poesia lirica, di cui ecco un esempio.
―υυ ―― ―υυ ―― ―υυ ――
―― ―υυ ―― ―υυ
υ― ―― ―υυ ――
―― ―υυ ――
Dant alios Furiae torvo spectacula Marti,
Exitio est avidum mare nautis.
Non abbiamo più che tre Odi di Orazio di questa maniera:
Albus ut oscuro deterget nubilia Coelo.
Laudabunt alii claram Rhodon, aut Mytilenen.
Te maris et terram numeroque carentis arenae.
IX-Il piccolo giambo di quattro piedi precisi si unisce anche bene col verso pitio, della maniera, che si osserva nel seguente esempio.
―υυ ―― ―υυ ―― ―υυ ――
―― ―υυ ―― ―υυ
υ― υ― υ― υ―
―― υυυ ――
―υυ υυ―
Pocula Letheos ut si ducentia somnos
Arente fauce traxerim.
Non abbiamo in questa forma se non le due Odi seguenti:
Mollis inertia cur tantam diffuderit imis
Nox erat et coelo fulgebat luna sereno.
X-Un’altra unione lirica del verso pitio è di farlo seguire da un verso puro giambico grande del medesimo numero di piedi. Non ne abbiamo d’Orazio, se non l’Oda, che qui metto per esempio, e che io chiamo pitiambica, riunendo in una sola parola, i nomi dei due versi, di cui è composta.
―υυ ―― ―υυ ―― ―υυ ――
―― ―υυ ―― ―υυ
υ― υ― υ― υ― υ― υ―
Altera jam teritur bellis civilibus aetas,
Suis et ipsa Roma viribus ruit.
XI- Il grande, il piccolo giambico l’uno, e l’altro di misure libere, s’accordano molto bene insieme, per compirne un’Ode:
υ― υ― υυυ υ― υ― υ―
υυ― υυυ υ― υυ―
―υυ υυ― ――
―― ――
―υυ
υ― υ― ―υ υ―
υυ― υυυ υυ―
―― ――
―υυ
Labuntur altis interim ripis aquae
Quaeruntur in sylvis aves
Le Odi, che Orazio ci ha lasciate di tale composizione sono:
At o Deorum quidquid in caelo regit.
Beatus ille, qui procul negotiis.
Ibis Liburnis inter alta Navium.
Lupis , et agnis quanta sortito obtigit.
Mala soluta navis exit alite.
Parentis olim si quis impia manu.
Quando repostum Caecubum ad festas dapes.
Quid immerentes hospites vexas, canis.
Quo quo, celesti ruitis, aut cur dexteris.
XII-L’ultima sorte di composizione, fatta di due diversi, unisce il grande archilocheo di sette misure al verso giambico di cinque misure, e mezzo. Non abbiamo altro, che una sola Ode, di cui il primo distico servirà di esempio dopo la tavola.
―υυ ―― ―υυ ―υυ ―υ υ― ―υ
―― ―υυ ――
υ― υ― υ― υ― υ― ―
―― υυυ ――
Solvitur acris hyems grata vice veris , et Favoni
Trahuntque siccas machinae carinas.
COMPOSIZIONI DI TRE VERSI
Orazio ci ha lasciate quattro Odi di tre versi le quali hanno ciascuna le loro combinazioni particolari, e sono sole nelle loro specie.
XIII-La prima è un’ode coraica, di cui ciascuna strofa, rinchiude un verso coraico di tre misure giuste
―υυ ―υυ ―υ ―υ
―― ―υυ ―
―υυ ―υ ―υ
Lidia,dic, per omnes
Te Deos oro, Sybarin
Cur properas amando.
XIV-La seconda Ode fornisce ciascuna strofa di un verso pitio, di un giambo di quattro misure, e di un piccolo archilocheo.
―υυ ―― ―υυ ―― ―υυ ――
―― ―υυ ―― ―υυ
υ― υ― υ― υ―
―― ――
―υυ ―υυ ―
Horrida tempestas caelum contraxit, et imbres
Nivesque deducunt Jovem :
Nunc mare, nunc sylvae.
XV-Il piccolo archilochio messo tra due giambici, uno di sei misure, e l’altro di quattro, forma la terza specie di composizioni di tre versi, di cui ho scelta una strofa per esempio.
υ― υ― υ― υ― ―υ υ―
υυυ ―― ――
―― υυ―
―υυ ―υυ ―
υ― υ― υ― υ―
―― ――
Unde expedire non amicorum queant
Libera consilia,
Nec contumeliae graves.
XVI-Finalmente l’ode gionia è la quarta, ed ultima composizione di tre versi. Le sue strofe son fatte di due gran versi gionj di sei misure, seguiti da un picciolo di tre, come nell’esempio seguente:
υυ― ―υυ ―― υυ― ―υυ ――
υυ― ―υυ ―― υυ― ―υυ ――
υυ― ―υυ ――
Celer idem per apertum fugientes agitato
Grege cervos jaculari, et catus alto latitantem
Fruticero excipere aprum.
COMPOSIZIONI FATTE DI QUATTRO VERSI
Le composizioni, di cui ciascuna strofa rinchiude quattro versi, formano il più gran numero delle Odi di Orazio; e si riducono parimenti a quattro specie differenti.
XVII-Le une contengono tre versi saffici seguiti da uno adonio.
―υ ―― ―υυ ―υ ―υ
―υ ―― ―υυ ―υ ―υ
―υ ―― ―υυ ―υ ―υ
―υυ ――
Scandit aeratas vitiosa naves
Cura, nec turmas equitum reninquit
Ocior cervis, et agente nimbos
Ocior Euro.
Le Odi di sì fatta composizione sono:
Dive, quem proles Niobea magnae.
Est nihi nonum superantis annum.
Faune Nynpharum fugientium amator.
Herculis ritu modo dictus, o plebs.
Jam satis terris nivis, atque dirae.
Impios parrae recinentis omen.
Integer vitae, scelerisque purus.
Martiis caelebs quid agam calendis.
Mercuri facunde, nepos Atlantis.
Mercuri, man te docilis magistro.
Montium custos, nemorumque virgo.
Nullus argento color est avaris.
O Venus, regina Cnidi, Paphique.
Otium divos rogat in patenti.
Persicos odi puer apparatus.
Phaebe, sylvarumque potens Diana.
Pindarum quisquis studet aemulari.
Poscimur. Si quid vacui sub umbra.
Quem virum, aut heroa, lyra, vel acri.
Rectius vives, Licini, neque altum.
Septimi, Gades aditure mecum.
Spiritum Phaebus mihi Phaebus artem.
Vile potabis modicis Sabinum.
XVIII-Vi sono altre composizioni, nelle quali si mettono appresso due piccioli asclepiadi, un ferecraziano, ed un gliconico.
―― ―υυ ―― υυ― υ―
―― ―υυ ―― υυ― υ―
―― ―υυ ――
―― ―υυ ―υυ
Nuper solicitum quae mihi taedium.
Nunc desiderium curaque non livis.
Interfusa nitentes
Vites aequora Cycladas.
Non si contano più, che cinque odi di Orazio di tal composizione, cioè:
Audivere, Lyce, Di mea vota, Di.
Dianam tenerae diciate virgines.
O fons Blandusiae, splendidior vitro.
O navis, referent in mari te novi.
Quid fles, Asterie, quem tibi candidi.
XIX-Tre piccioli asclepiadi seguiti da un gliconico fanno un misto, di cui il nostro poeta si è servito per empiere le strofe delle sue Odi.
―― ―υυ ―― υυ― υ―
―― ―υυ ―― υυ― υ―
―― ―υυ ―― ―υυ υ―
―― ―υυ ―υυ
Quando quisque sibi plura negaverit,
A Dis plus feret. Nil cupientium
Nudus castra peto, et transfuga divitum
Partes linquere gestio.
Ecco tutte le Odi che ci restano di tal composizione.
Divi sorte bonis, optime Romulae.
Jam veris comites quae mare temperant.
Inclusam Danaen turris ahenea.
Nolis longa ferae bella Numantiae.
Pastor quum traheret per freta Navibus
Quis desiderio sit pudor, aut modus.
Scriberis Vario fortis, et hostium.
XX-La composizione lirica, ch’è stata del maggior gusto di Orazio, è quella, in cui due alcaici sono alla testa di un giambo di quattro piedi, e mezzo, e di un archilocheo di quattro.
―― υ― ―― υυ― υ―
υ―
―― υ― ―― υυ― υ―
υ―
―― ―υ ―― υ― ―
υ―
―υυ ―υυ ―υ ―υ
Damnosa quid non imminuit dies?
Aetas parentum pejor avis tulit
Nos nequiores, mox daturos
Progeniem vitiosiorem.
Ecco le composizioni, che Orazio ci ha lasciate in una somigliante forma.
Aeli vetusto nobilis ab Lamo.
Aequam memento rebus in arduis.
Angustam, amici, pauperiem pati.
Bacchum in remotis carmina rupibus.
Caelo supinas si tuleris manus.
Caelo tonantem credidimus Jovem.
Cur me quaerelis examinas tuis.
Delicta majorum immeritus lues.
Descende caelo, dic age tibia.
Eheu! Fugaces, Postume, Postume.
Jam pauca aratro jugera regiae.
Icci, beatis nunc Arabum invides.
Ille et nefasto te posuit die.
Justum, ac tenacem propositi virum.
Motum ex Metello consule civicum.
Musis amicus tristitiamet metus.
Natis in usum letitiae scyphis.
Ne forte credas interitura, quae.
Non semper imbres nubibus ispidos.
Non usitata, nec tenui ferar.
Nunc est bibendum, nunc pede libero.
Odi profanus vulgus, et arceo.
O Diva, gratum quae regis Antium.
O matre pulchra filia pilchrior.
O nata mecum consule Manlio.
O saepe mecum tempus in ultimum.
Parcus Deorum cultor, et infrequens.
Phaebus volentem praelia me loqui.
Quae cura Patrum, quaeve Quiritium.
Qualem ministrum fulminis alitem.
Quid bellicosus Cantaber, aut Scythes.
Regum timendorum in proprios greges.
Thyrrena regum progenies, tibi.
Velox amaenum saepe Lucretilem.
Vedes, ut alta stet nive candidum.
Vixi puellis nuper idoneus.
Un’antico grammatico, il quale si pretende essere Rufino, ci ha lasciato un’epigramma latino, in cui ha voluto unire tutte le specie di versi, che si trovano in Orazio. Io ho creduto doverlo qui porre, per notarne i difetti, e finirò così questo piccolo trattato. Il soggetto dell’Epigramma è l’istoria di Pasife.
Filia solis
Aestua igne novo.
Et per prata juvencum
Mentem perdita quaeritat
Non illam thalami pudor arcet,
Non regalis honos, non magni cura mariti.
Optat in formam bovis
Convertire vultus suos,
Et Praetidas dicit beatas.
Ioque laudat, non quod Isis alta est,
Sed quod juvencae cornua in frontem levat.
Si quod miserae copia suppetit,
Brachiis ambit fera colla tauri,
Floresque versos cornibus illigat.
Oraque jungere quaerit ori.
Audaces animos efficiunt tela Cupidinis,
Illicitesque gaudent.
Corpus includit tabulis efficiens juvencam,
Et amoris pudibundi male suadis
Bimembrem
Obsequitur votis, et procreat (heu nefas !)
Cecropides juvenis quem perculit fractum manu,
Filo resolvens Cnossiae tristia tecta domus.
Cruchio, e Pithou han creduto fare un gran servigio alla Repubblica Letteraria in pubblicare questa composizione; e M. Bentlei ha fatto la spes di ammassare in Archiloco, in Alceo, ed in Saffo differenti versi Greci distaccati, che corrispondono a ciascuno dei versi Latini dell’ Epigramma. Ma è facile di vedere da ciò, che ho già detto sopra i versi di Orazio, che l’autore di questo epigramma egualmente, che coloro, i quali ce lo hanno trasmesso, mancavano di critica, e non intendeano bene la materia. Il settimo verso non si trova affatto nella cadenza di Orazio, il quale ha sempre fornita la seconda cadenza, o sia piede di questo verso, di un coreo. Il decimonono non è, che di quattro piedi, e mezzo, quando dee averne sei, siccome l’ho dimostrato nel mio Trattato della versificazione Latina. Vi manca in oltre un piccolo ionio di tre misure. Finalmente il decimottavo, il ventunesimo, e vigesimo secondo verso debbono essere divisi in due piccoli, come si vedrà nelle note quando ci si presenterà l’occasione.