La maturazione del pensiero del Paolino è testimoniata dalla Premessa che segue.
Decide di pubblicare integralmente le Opere di Orazio, operazione azzardata per quei tempi, anche se attenua il linguaggio della traduzione nei passi ritenuti più scabrosi, operazione non gradita dalla critica successiva. Decide, inoltre, di siglare le note con il nome dei loro autori: Dacier, Sanadon e lui stesso, in modo che fosse evidente il suo intervento rivolto soprattutto allo studio critico e filologico del testo Oraziano.
ALL’AMICO LETTORE
Le continue premure, che dopo date alla pubblica luce le Opere di Terenzio colla versione, ed annotazioni da me fattevi, mi furon date in Napoli per lo spazio di sette anni, perché facessi lo stesso sulle Opere di Orazio; e quelle, che dopo ritiratomi in queste deserte rupi me ne han seguitato a dare moltissimi amici da paesi circonvicini, e da Napoli istesso; mi han finalmente rimosso dal mio sentimento di non volervi por mano affatto per molti miei giusti, e lodevoli fini; e mi han fatto determinare di non far andare in vano le richieste di tanti, a’ quali mi veggo infinitamente tenuto della buona e grat’accoglienza, che generalmente da loro si è fatta, della fatica da me impiegata su quell’Autore, il quale vanamente reputatasi prima cotanto astruso, e nocivo anche a’costumi.
Quest’ultimo motivo confesso essere stato quello, che per lo spazio di dodici anni ha trattenuto anche me da fare ciò, che ora per gratitudine, e riconoscenza della pubblica letteratura, fo volentieri; e perché, esaminata minutamente la cosa, ho ravvisato in me stesso quel comune errore, che per le Opere di Terenzio dal volgo si nudriva. Quindi; richiamate ad un maturo, e minutissimo esame quelle ode, e quelle satire, le quali contengono delle oscenità, e dei sentimenti contrarj alla sana morale della nostra illibata, e sacrosanta Religione; ho considerato, che in esse niente si contiene contro la religione de’Gentili, e che perciò da noi debbon regolarsi sopra le pure, ed intemerate massime della Santissima Religione Cristiana.
Ma per ovviare alla grave difficoltà delli giovanetti non ancora bene in queste assodati; che facilmente si fanno tirare dalle passioni, e ciecamente corrono dietro al vizio; ho usata una esatta diligenza di tradurre in Italiano quelle cose, che potrebbono esser loro d’incentivo alle ree passioni, in guisa tale, che non eccitino in loro quell’idee, ed immagini, che potrebbono ingombrare la loro fantasia.
Ed in questo sentimento mi sono tanto più confermato, perché veggo anche nel S. Vangelo, ed in tutte le sagre pagini, ragionarsi di tali cose lubriche; ma in guisa, che da queste si ritraggano, ciò facendo con oneste, e sante espressioni, e parole, le quali ci facciano conoscere chiaramente i fatti, e non apportino alcun solletico alle passioni. Mi lusingo adunque di aver con ciò molto giovamento recato alla studiosa gioventù, la quale non ha finora avuta una intera versione di Orazio, avendone quasi tutti troncato chi un pezzo, e chi un altro. Il che, a creder mio, ha sempre apportato maggior male, e pregiudizio al buon costume, per la innata curiosità, che ha ogn’uno di voler sapere ed attentamente indagare quel, che da altri con tanto studio si occulta; sicchè vi si fermino con maggiore attenzione, e meditino sul male, che possa rinvenirvisi.
Ma oltre al vantaggio, di cui ho fin’ora ragionato, voglio, che il lettore sappia i molti altri, che in questa edizione ritrovansi. Primieramente mi sono attenuto quanto più mi sia stato possibile alla parola, facendo esattamente corrispondere alle latine le italiane, quando queste vi siano state; e quando no, alle più vicine, più simili, e più usitate. Lo stesso ho fatto ancora nell’espressioni, e nelle frasi tutte, e maniere di parlare, affinché vedesse subito il lettore il senso di quel, che in latino si dice.
E per riguardo alle annotazioni, ho voluto principalmente valermi di quelle dei due ultimi interpreti i più moderni, e più rinomati, cioè di Mr. Dacier, e del P. Sanadon, e portarle per disteso.
Eglino per lo più si trattengono a far note istoriche, mitologiche, cronologiche, e geografiche, le quali posson dare qualche luce per l’intelligenza dell’autore. Talvolta ne fanno anche filologiche, e grammaticali, le quali io credo le più utili, e confacenti al fine, di cui si tratta, di bene intendere la mente dell’autore. Ma in queste, non apportano altra ragione, che gli esempi di altri autori, o pure dell’istesso; né entrano quasi mai nell’etimologia delle voci, e nella loro originazione, ch’è il vero mezzo d’intendere a fondo ciò, che dagli autori classici si dice.
Io per contrario ho cercato aggiungervi queste, nelle quali da loro si manca, ed inoltre le note critiche, e filologiche, colle quali si dimostrano gli abbagli da essi presi non meno nelle interpretazioni delle voci, e delle espressioni del poeta, che nel vero di lui senso. Sicchè possa chiunque legge fare un retto e vero giudizio del senso del poeta. Imperciocchè, sebbene Mr. Dacier usi somma moderazione, accortezza, e giudizio nell’interpretazione del nostro autore, pure il P. Sanadon, e M. Bentlei, (dietro le cui vestigia egli per lo più ciecamente si precipita ), e Cuningamio, ed altri Oltramontani, o per vaghezza di comparir sommi critici, o di porre il piede dinanzi al maestro di tutti nella materia, che si tratta, o per non so quale altra ragione, svisano, e rendono a tal segno l’autore sfigurato, che non si ravvisi più egli, ma un barbaro, che parli nella latina lingua.
Imperciocchè; siccome ho nelle mie note di passaggio avvertito, non è delle nazioni oltre i monti conoscere, e giudicar bene del suono, della dolcezza, e della vaghezza, così dell’accozzamento delle voci, e dell’espressioni, che delle voci, ed espressioni istesse; ma è questo un natural dritto della nazione Italiana, la cui lingua, come figliuola legittima della latina, come nudrita, e cresciuta sotto il medesimo clima e cielo, e come abbeverata del medesimo latte, ed alimentata del medesimo cibo; ha conservate tutte le proprietà, e bellezze di quella; ereditate le formole, e le maniere di esprimersi; e ritenuta la dolcezza, il sonoro suono, e la robustezza della madre.
Non così le lingue oltramontane, le quali riconoscendo per loro principal madre la Testona , ne han fatta una lingua ibrida, tramischiandola colla latina. Ond’è nato un linguaggio mezzano, che ritiene dell’asprezza, ed orrorosità della prima, e di una tale, o quale dolcezza, e piacevolezza della seconda: sicchè non siano capaci coloro, che la parlano, di ben discernere, e colla mente, e coll’orecchio ciò, che diletta, e ciò, che dispiace. Ed è ella una massima troppo vera, che qual è il clima, tale esser suole il costume, e la lingua.
Ho poi in rapportare le note dei suddetti critici, per non rendere l’opera troppo voluminosa, usata questa economia. Quando le note di amendue sono state uniformi, non ne ho messa, che una, e per lo più quella di Dacier, il quale batte più al sodo, ed ha scritto prima di Sanadon: quando poi nell’una vi è stata qualche cosa di più, ne ho messa una intiera, ed aggiunto solamente il di più dell’altro: e quando sono stati di diverso sentimento ne ho rapportato uno, e detto in breve ciò, che l’altro ne sente in contrario; aggiungendovi il sentimento mio; o pure ho confutato l’uno, e confermato l’altro. Quando finalmente ho sentito diversamente dall’uno, e dall’altro, ho detto ciò, che ne sento io, e confutati amendue.
E perché veggasi il vantaggio, che in questa edizione di Orazio si ha, voglio, che il lettore consideri, che finora non vi è stato chi abbia avuto il gusto di darne una intera versione col testo a fronte, e di utili, e copiose note arricchita. Questo gusto prima dell’edizione di Terenzio da me voltato in Italiano, e di varie note al margine inferiore corredato, non si è avuto da verun’altro prima di me in alcuno autore Latino; ma chi ne ha fatta la sola versione, senza il testo, e senza annotazioni; chi ne ha tradotto una porzione, e chi un’altra, e chi per le ragioni da me di sopra addotte ne ha castrato un pezzo, e chi un altro. Per non fare la qual cosa, mi sono colla maggior fatica industriato a far sì, che si dicano le cose tutte in guisa tale, che nella mia versione non si osservi la minima espressione, la quale sia men, che onesta, e decente.
Non ho voluto porre alle composizioni dell’autore alcun’epigrafe, o sia argomento, perché ciò fassi da’due suddetti critici sempre in principio delle loro annotazioni, rapportando il tempo, in cui la composizione fu fatta, il soggetto di essa, e quanto mai è necessario per saperne ciò, che vi si contiene: Ed in oltre vi ho aggiunta la vita di Orazio fatta da Svetonio, e quella ricavata dalle opere tutte dell’autore, dal P. Sanadon. Del quale vi ho aggiunto ancora un trattato delle differenti specie di versi, che si trovano nelle Poesie di Orazio.
Finalmente per compenso di una tal mia fatica, e sollecitudine, chieggo dal grato leggitore, che voglia usarmi un benigno compatimento se talvolta sono uscito dai limiti di una discreta moderazione in criticare i sentimenti, che intorno a certe espressioni e sensi delle cose han portato i già detti annotatori, ed altri interpreti del nostro Autore. Ciò non si è da me fatto, perché mi fossi reputato da più di tanti sommi, e valorosi uomini, de’quali mi credo anzi il minimo discepolo, e grandissimo ammiratore; ma per iscuotere i leggitori a deporre il pregiudizio, che potrebbero di essi avere, ed a considerare attentamente le cose, e le ragioni, che si adducono senza alcuna passione; e con mente chiara guardare la verità delle cose. Imperciocchè quanto più grandi critici, e letterati essi stati sono, tanto han maggiormente le cose filologiche con disprezzo riguardate, contentandosi dirne quel, che i più infimi grammatici ne han detto, e giudicando le costoro regole, o come infallibili, o come agli stessi autori Latini, onde le han formate, superiori. E’ nato adunque qualche loro abbaglio non già da alcuna loro insufficienza, ma da una certa negligenza, la quale ha fatto lor credere la filologia come cosa di poco momento, e da ragazzi, e non da uomo grande, e di valore. Ma io, il quale son persuaso, che la filologia è come il fondamento di tutte le scienze, senza la quale queste non possono nudrirsi , crescere, ed aumentarsi; ed il quale la credo come una filosofia, che si versa intorno alle voci, ed alle parole; dalla quale si passa a filosofare intorno alle cose; ho creduto cosa seria la ricerca delle vere etimologie, e significazione delle voci, anche perché si avvezzino i giovanetti a pensar bene, e dritto nelle cose scientifiche, e vi facciano grande profitto. Mi lusingo, che voglian tutti gradire questa mia cura, e vivi felice ecc.